Chiaffredo Bergia (1840 - 1892), comandante della stazione dei Carabinieri di Vasto.





Chiaffredo Bergia (1840 - 1892), comandante della stazione dei Carabinieri di Vasto.





Chiaffredo Bergia  comandante della stazione dei Carabinieri di Vasto, con i suoi militari.





 Stazione dei Carabinieri di Vasto a Porta Nuova.


Stazione dei Carabinieri di Vasto a Porta Nuova.





















Chiaffredo Bergia (1840 - 1892)


Chiaffredo Bergia


Capitano dei Carabinieri (Paesana, Saluzzo, I' gennaio 1840 - Bari, 2 febbraio 1892).

Promosso carabiniere effettivo, venne destinato alla Stazione di Scanno (Legione di Chieti), dove si distinse per zelo ed ardimento, meritando la prima Medaglia d'Argento al Valor Militare nell'occasione del conflitto a fuoco avvenuto il 22 aprile 1863 contro la banda dei brigante Tamburrino. Promosso vice brigadiere il 1° agosto 1867, gli fu in pari data affidato il comando della Stazione di Campotosto, dove l'8 novembre 1867 compì altro gesto di valore catturando, dopo lungo inseguimento e violenta colluttazione, l'omicida Andrea Andriani. Per questo fatto il sottufficiale fu citato per la quinta volta nella circolare periodica dell'Arma. Venti giorni dopo, nel corso di una vasta battuta effettuata in zona boschiva dai carabinieri e seguita da scontro a fuoco contro tre briganti, il vice brigadiere Bergia affrontò in corpo a corpo uno di essi, riuscendo a tramortirlo con un sasso proprio quando stava per essere sopraffatto. Per tale operazione gli venne conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare ed il comando legionale lo promosse al grado di brigadiere.
Una nuova occasione di emergere venne data a Bergia dall'apparizione fatta nel giugno del 1868 del brigante Palombieri, che si aggirava per le montagne di Teramo e dell'Aquila, spesso guidandovi le orde che, provenienti dal vicino stato Pontificio, effettuavano frequenti scorrerie. Il Bergia, il 17 di quel mese, comandando una pattuglia, riuscì a scovare il brigante e ad ucciderlo, dopo breve lotta, con una revolverata. Costui portava indosso una lettera con la quale invitava le bande del confine ad una invasione del comune di Fano per vendicarsi di diversi possidenti, e specialmente del sindaco. Per questo nuovo fatto, Bergia ebbe il petto fregiato della seconda Medaglia d'Argento al Valor Militare.
Nel 1870 lo troviamo di nuovo alla prese coi briganti. Le grosse bande erano state ormai distrutte, ma alcuni elementi, sfuggiti alla cattura, effettuavano rapide e funeste scorrerie, riportando il terrore tra le popolazioni.
Da circa 9 anni il fertile territorio che circonda la città di Vasto era teatro delle numerose rapine e dei frequenti delitti di una banda brigantesca, conosciuta col nome di Pomponio e che assumeva quello d'Alena nelle province dell'Aquila, di Campobasso e di Terra di Lavoro, dove pure estendeva le sue scorrerie. Per quanto assottigliata, essendo caduti parecchi dei suoi affiliati nelle mani della giustizia, non aveva ancora potuto essere distrutta completamente. I capi della banda erano Giuseppe Pomponio, autore di venti omicidi e di moltissime grassazioni, sul capo del quale pesava già una taglia di tremila lire, e Pasquale d'Atena soprannominato il Romano, famoso per atti di ferocia, tanto che il comune di Itri (Gaeta), sua patria, oltre al premio di tremila lire stabilito dal Governo, aveva deliberata una pensione vitalizia a favore di chi lo avesse catturato. I due erano seguiti da una giovane diciottenne, Filomena Soprano, amante di d'Alena, e da due altri non meno famosi criminali, Michelangiolo Pomponio, fratello di Giuseppe, e Bernardino Di Nardo.
Questa banda di malfattori il 12 settembre 1870 aveva catturato un ricco proprietario di Montazzoli, certo Gaetano Franceschelli, per il riscatto del quale aveva imposto alla famiglia una taglia di oltre sessantamila lire. Quantunque ne avessero già incassata buona parte, i briganti non avevano voluto restituire il prigioniero.
Diveniva perciò sempre più urgente provvedere coi mezzi più energici alla cattura dei malviventi.
Il comandante della Legione di Bari, nella quale era stato incorporato il territorio della disciolta Legione di Chieti, ordinò allora la formazione di una squadriglia di quattro carabinieri agli ordini del brigadiere Bergia, che chiese ed ottenne di fingere un trasferimento suo e dei suoi quattro dipendenti. Partirono così da Chieti, e percorsi i territori di Guardiagrele e di Orsogna, rasentando sempre le montagne e tenendosi lontani dalle strade battute per rimanere coperti e nascosti, in due giorni di marcia faticosa e piena di stenti, privi quasi del necessario vitale, riuscirono ad accamparsi nelle montagne di Liscia. Penetrati nell'intricato bosco di Palmoli, lo frugarono accuratamente senza risultato. L'incontro con due briganti della banda avvenne casualmente, di notte, nel bosco di Dogliola e diede luogo a nutrito scambio di colpi d'arma da fuoco, seguito dalla fuga precipitosa dei due banditi.
Nonostante la fitta oscurità e le asperità del suolo, i carabinieri si misero ad inseguirli, il Bergia avanti a tutti.
Egli aveva preso di mira uno dei due fuggitivi che, finalmente, estenuato, rallentò la corsa. E il Bergia gli scagliò contro il revolver, poi con un ultimo sforzo, lo raggiunse e gli assestò un colpo così forte con il calcio della sua carabina, che questa si ruppe in due pezzi. Il brigante cadde a terra e il Bergia gli fu subito sopra, e così stretti rotolarono insieme sui sassi del terreno. Divincolandosi rabbiosamente, quello era riuscito a trarsi dalla cintola un pugnale; ma la destrezza e il coraggio del brigadiere valsero a deviargli il braccio che egli teneva stretto colla mano.
Anche il Bergia era ormai esausto, quando sopraggiunse il carabiniere Corsi, che, assestato con la canna della sua carabina un terribile colpo sul capo del brigante, lo uccise.
Trasportato il cadavere a Dogliola, e di qui a San Buono, fu il giorno seguente riconosciuto per il d'Alena, uno dei capi della banda.
Ma era indispensabile che anche gli altri tre briganti fossero ritrovati, e a questo punto il capitano Sequi, che comandava i Carabinieri della provincia di Chieti, assunse personalmente la direzione dell'importante servizio.
Toccò al brigadiere Bergia ed al carabiniere Livio la sorte di fronteggiare i briganti Pomponio e Di Nardo, verso la mezzanotte del 1° ottobre 1870. Appostati in un vicolo angusto dell'abitato di Furci, essi aprirono il fuoco contro i due fuorilegge. Con un urlo feroce di rabbia e di dolore questi abbandonarono le armi, e si diedero alla fuga, correndo all'impazzata e passando davanti agli altri carabinieri, che li fecero bersaglio di numerosi colpi.
Non badando alle ferite, e con la forza della disperazione, seguirono la loro fuga sfrenata: ma, ad un chilometro il Di Nardo, esausto e sentendosi incalzato, si getto in un burrone ove, piuttosto che cadere vivo nelle mani degl'inseguitori, col suo revolver si fracassò il cranio.
Il Pomponio poi, che continuava a scappare, raggiunto dal Bergia, sparò a bruciapelo contro il brigadiere quatto colpi del suo revolver. Illeso quasi per miracolo, il brigadiere gli fu addosso in un attimo, ed avendo l'arma scarica, afferratolo alla vita col braccio sinistro, e così tenendolo fermo, lo colpì coll'impugnatura dei revolver sulla testa. Ma il brigante, liberatosi dalla stretta, prese ancora di mira il sottufficiale, quando, a troncare la lotta, sopravvenne il carabiniere Pavan, che con un colpo di revolver lo finì.
La banda che per quasi dieci anni aveva terrorizzato quella popolazione venne così annientata ed il Bergia si adoperò nei giorni successivi nella ricerca dei manutengoli, riuscendo ad assicurarne alla giustizia ben quarantadue.
L'operazione gli valse il conferimento della Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:
"Per l'intelligenza di cui dette prova nelle replicate perlustrazioni ed inseguimento di una banda di briganti, nonché per l'incontestabile valore spiegato nei due successivi combattimenti, lottando corpo a corpo col famigerato capo banda D'Alena e col brigante Pomponio, i quali rimasero uccisi nel conflitto. - Bosco Dogliola e Furci (Chieti), 27 settembre - 2 ottobre 1870.
Allo stesso fatto d'armi va riferita la seguente lettera del brigadiere Bergia:
"San Buono, 6 novembre 1870. Al sig. Comandante l'Arma del Circondario. Prevengo la S. V. Illustrissima che oggi stesso, porgendo i miti ringraziamenti ai componenti la Giunta municipale di Lentella, ho pregato il Sindaco a volersi compiacere distribuire le lire 50, accordatemi per la distruzione della banda Pomponio, nel seguente modo: ai poveri di quel Comune, L 20; ai danneggiati dal terremoto nella Calabria, L. 10; all'asilo infantile di Chieti, L 10; all'Istituto delle figlie dei militari Torino, L. 10. Il comandante della stazione, Bergia".
Con l' eliminazione della banda Pomponio non erano comunque terminate le operazioni contro i residui del brigantaggio.
Nella provincia dell'Aquila scorrazzava ancora altra feroce banda, capeggiata da Croce Di Tola. Dal comando della Legione di Bari fu ordinata la costituzione di altra squadriglia, composta di tre carabinieri agli ordini dei Bergia. Nel corso di varie settimane questi militari dell'Arma svolsero una sfibrante attività di ricerca dei banditi, ma le loro dure fatiche trovarono finalmente compenso nel pomeriggio del 29 luglio 1871. La squadriglia, esausta, si era appena rifugiata in una capanna per concedersi un po' di riposo, allorché fu raggiunta da due pastori che segnalarono trafelati la presenza della banda Di Tola, appostata tra i macigni che circondavano la capanna, costruita a ridosso di un'altura. Lasciar cadere la sera sarebbe stato imprudente, per cui il Bergia dispose che uno per volta i militari uscissero di corsa dal rifugio per ripararsi dietro un vicino muretto. Egli diede l'esempio e la squadriglia poté così rispondere alla fucileria dei fuorilegge. Trasferitisi con successivo balzo ad un'altura meglio protetta, i militari dell'Arma, con la loro audacia e con il fuoco delle loro armi, ingenerarono il timore nei banditi, che, vistisi poco dopo attaccati, abbandonarono la loro posizione per darsi alla fuga. Nel corso del lungo inseguimento cadde ferito il capo banda Di Tola, che venne immediatamente catturato.
A seguito dell'operazione venne conferita la Medaglia d'Argento al V.M. a ciascuno dei tre carabinieri, mentre il brigadiere Bergia fu insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia (oggi Ordine Militare d'Italia). con la seguente motivazione:
"Per l'ardimento ed il coraggio di cui diede novella prova in occasione in cui, assediato in tenimento di Barrea (Sulmona) addì 29 luglio 1871, unitamente a tre suoi dipendenti, da una banda di briganti in una casa dove eransi momentaneamente fermati, dopo un vivo combattimento sostenuto passando dalla difensiva all'offensiva, riuscì a catturare il capo di quella masnada famoso per ferocia e per scelleraggine. - Barrea (Sulmona), 29 luglio 1871".
Braccati dai militari dell'Arma, pochi giorni dopo si costituirono due pericolosi componenti della banda Di Tola, il Patella ed il Cellini. Restava alla macchia il brigante Angelo Dei Gozzo, il più feroce tra i superstiti della stessa banda. La sera del 7 ottobre 1871, il brigadiere Bergia e quattro suoi carabinieri, travestiti da contadini, giunti al limite del bosco chiamato Guado dell'Orso, si divisero in due gruppi. Seguito dai carabinieri Fragale e Verdelli, il sottufficiale s'inoltrò nel folto della vegetazione, riuscendo finalmente a scontrarsi con il temibile bandito che venne ucciso. Per tale risultato al brigadiere Bergia venne concessa la terza Medaglia d'Argento al V.M.
A riconoscimento della sua opera per la liberazione della provincia dell'Aquila dai briganti, nel dicembre 1871 il Bergia venne promosso maresciallo dal Comitato dell'Arma (oggi Comando Generale), che accompagnò la determinazione con speciale ordine del giorno a tutte le Legioni dipendenti. Tra le tante manifestazioni di gratitudine indirizzate a Chiaffredo Bergia dalle popolazioni e dai comuni emerge la seguente:

"MUNICIPIO DI SCANNO. Seduta del 7 agosto 1871. La Giunta municipale, legalmente riunita ( .. ). Udita la relazione del Presidente sulla presa del capo brigante Croce Di Tola, avvenuta mercé la bravura del sig. Bergia Chiaffredo, brigadiere dei Reali Carabinieri; considerato dai fatti esposti che la presa del Di Tola avvenne con evidentissimo pericolo della vita del sig. Brigadiere e dei militari dell'Arma che lo seguivano; poiché ogni atto che sa di eroismo, e tale è quello in esame, merita di essere scritto ad eterna memoria dei presenti e dei futuri; poiché il cimentare la vita per l'ordine e la sicurezza pubblica è opera la più nobile e santa; interprete dei sentimenti dei propri amministrati DELIBERA: 1) che sia domandata al sig. Sotto Prefetto la facoltà di riunire straordinariamente questo Consiglio comunale all'oggetto di conferire la cittadinanza scannese al brigadiere sig. Bergia Chiaffredo (..) ".

Il Consiglio comunale si riunì il 23 ottobre successivo per "dichiarare e nominare cittadino di Scanno il brig. Bergia".
Trasferito nel territorio di Roma, il maresciallo Bergia ebbe a meritarsi nel settembre 1872 la seconda Medaglia di Bronzo al V.M.

Passato nel 1877 alla Legione di Milano, venne promosso al grado di maresciallo maggiore. E poiché egli non aveva mai trascurato di coltivare la propria istruzione, nel 1880 venne nominato sottotenente. Promosso tenente nel 1883, nel dicembre 1891 fece ritorno con il grado di capitano alla Legione di Bari, nei territori che erano stati campo delle sue gesta.

All'atto della sua morte, avvenuta il 2 febbraio 1892 a soli 52 anni, il capitano Chiaffredo Bergia era insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia, di una Medaglia d'Oro al Valor Militare, di tre Medaglie d'Argento e due di Bronzo al Valor Militare. Nel suo stato di servizio figuravano una promozione per meriti speciali, 13 Menzioni Onorevoli e numerosi Encomi.
Nell'Esercito italiano era l'ufficiale più decorato al valore.

Il 15 luglio 1914, centenario dell'Arma dei Carabinieri, venne inaugurato in Bari - sede della Legione alle cui dipendenze il Bergia aveva dato inizio alle sue memorabili imprese e città nella quale morì - un monumento situato a ridosso della Cattedrale della necropoli. Il monumento è opera dello scultore Mario Sabatelli. Insigne per il suo concetto ideale, l'opera del Sabatelli rivela nella finezza e nella pastosità delle linee il vigore di un'ispirazione che ne fa anche la sintesi epica dell'Arma alla quale Bergia appartenne.
Al nome del capitano Chiaffredo Bergia sono intitolate numerose caserme dell'Arma.
Notevole è la bibliografia esistente sulla sua vita e sulle sue gesta.


Da: http://www.carabinieri.it/arma/curiosita/non-tutti-sanno-che/b/bergia-chiaffredo


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Il carabiniere Chiaffredo Bergia - 

La repressione del banditismo nella Valle del Trigno.




Il plebiscito del 21 Ottobre del 1860 sancisce l'adesione delle province borboniche, fra qui quella di Chieti, allo Stato Italiano unitario. Ma le aspettative suscitate nel mondo contadino dall'impresa garibaldina (abolizione della tassa sul macinato,divisione dei demani) vennero presto disattese dai piemontesi, generando un diffuso malcontento. A questo si deve aggiungere che il nuovo ordine impose la leva obbligatoria, nuove tasse, leggi anticlericali..una miscela esplosiva che diede Il nuovo ordine impose la leva obbligatoria, nuove tasse,leggi anticlericali...una miscela esplosiva che diede il 'là' al fenomeno del brigantaggio.Nel 1862 nella piazza di Chieti venne affisso uno scritto pieno di insulti al Re Vittorio Emanuele II: “ Vittorio Manovelo rex delli ladri rivoluzionari nazionali, persequetore della santa chiesa cattolica romana assassino di sua santità pio nono, ladro assassino di francesco secondo, ladro del popolo dissipatore di religiosi di ogni sesso..avrete vittoria quando il diavolo bacia la croce abbasso abbasso scomunicato.” (Paolo Mattioli). In tutta la provincia teatina le bande dei briganti si formarono per lo più con elementi del posto ad opera dei capi del partito borbonico dei vari paesi. Fra costoro, purtroppo, vi erano anche Sindaci, che all'occorrenza s'atteggiavano a vittima dei briganti allorchè sopraggiungeva la forza pubblica. Invero nel considerare il fenomeno del brigantaggio degli anni '60 bisogna far differenza fra le sommosse organizzate a scopo politico (ad esempio la reazione di Monteodorisio 30 settembre e 1 ottobre 1860) e quei fatti che invece avevano per unico fine il furto e la rapina: spesso gli autori di tli furti e rapine, per una speranza d’impunità, auspicavano la restaurazione borbonica. Le sommosse politiche caratterizzarono i primi anni '60,successivamente e per molti anni ancora il brigantaggio fu un fenomeno le cui idealità politiche andarono via via sbiadendosi affermandosi, invece, le caratteristiche di illegalità e di associazione delinquenziale. In altri termini col passar del tempo la speranza di un probabile ritorno di Francesco II andò a poco a poco dileguandosi ma non cessarono però le rapine e le scorribande dei briganti che, anzi, crebbero straordinariamente. Contro il brigantaggio il Governo italiano decretò lo stato di assedio ed emanò leggi eccezionali (legge Pica). La repressione fu affidata all'esercito per oltre un decennio nell'Italia meriodionale. Nel circondario di Vasto e San Salvo tra i capi banda più noti vi furono i fratelli Giuseppe e Michelangelo Pomponio, originari di Liscia, Pasquale d'Alena, Berardino di Nardo: sulla loro testa pendeva una cospicua taglia, ma invano i carabinieri avevano cercato di arrestarli giacchè gli sforzi erano paralizzati da una rete di confidenti e 'manutengoli' che offrivano aiuto ai malfattori. La torre di Montebello fu per diversi mesi la fortezza dei fratelli Pomponio: per molto tempo gendarmi e bersaglieri cercarono di espugnarla. Finalmente, racconta il Piovesan ne "La Città di San Salvo" dopo una sistematica battuta per le campagne e boscaglie di San Salvo, di Lentella, di Fresagrandinaria, di Petacciato e di Montenero di Bisaccia,avevano stretto la sacca attorno alla torre. La resistenza fu disperata:si sparò dalla torre fino all'ultima pallottola. Nella notte approfittando della conoscenza dei luoghi i due capibanda con pochi altri riuscirono a fuggire. La maggior parte era caduta sotto il piombo o era stata fatta prigioniera. I fratelli Pomponio poterono riorganizzarsi e riprendere le loro gesta scellerate. La vittima scelta a pagare per tutti fu luigi Ciavatta,capitano della Locale Milizia Nazionale,l'artefice della disfatta di Montebello.” Il Prof Giovanni Artese nel suo libro “Storia di San Salvo” osserva che la “vendetta (di Giuseppe Pomponio ndr) si abbattè su Luigi Ciavatta, di 28 anni, capo della Guardia Nazionale di San Salvo e figlio del ‘magnifico Don Antonio Ciavatta’, il quale si era scontrato con la banda di Pomponio nei pressi di Montebello. Luigi Ciavatta fu ucciso il 16 settembre 1868 in un luogo poco fuori dal paese,che da allora venne chiamato "contrada della disgrazia". Il Sindaco Giuseppe Ciavatta,fratello dell'ucciso,fece intensificare la lotta contro i briganti, cui venne a partecipare un distaccamento militare (circa 25 uomini di fanteria e bersaglieri) alloggiato in paese a carico della collettività. Nella delibera del Consiglio Comunale sansalvese del 15 maggio 1869, inviata al Prefetto ‘perché se ne faccia interprete presso il Real Governo’, così si legge: “Da otto mesi che i due briganti Pomponio uniti ad un terzo sconosciuto e favoriti da ignoti manutengoli scorrono questo tenimento e tutta la vallata del Treste, si hanno a lamentare gravi misfatti, atroci casi e perduta ogni sicurezza ne è seguito abbandono di affari e seri dissesti. Invano, finora, l’autorità politica e militare, con zelo superiore ad ogni elogio ha cercato di distruggere la mala pianta, poiché le loro fatiche malgrado il concorso degli onesti cittadini non hanno raggiunto lo scopo. La causa principale dell’insuccesso consiste nel perché i cennati briganti hanno fedeli corrispondenti dentro i Comuni, e perché i contadini in generale per tema di sanguinose rappresaglie, e taluni per gola dell’ora brigantesco di mala o buona voglia ne occultano le mosse. A mali eccezionali bisognano eccezionali rimedi; quindi credo conveniente pregare l’autorità governativa a permettere e ordinare tutte quelle misure di eccezione, che si crederanno della circostanza, tanto relativamente alla vigilanza e chiusura delle masserie sospette, che alla fermata preventiva dei manutengoli” (A.C.S.S., Deliberazioni del Consiglio comunale di San Salvo 1867-1871). Nella repressione del banditismo nel vastese si era reso famoso il carabiniere piemontese Chiaffredo Bergia,figlio del popolo, chiamato giustamente 'l'eroe degli Abruzzi", nacque in Paesana vicino Saluzzo: il Costantini nel suo libro “Moti liberali e Brigantaggio negli Abruzzi 1848-1870” riferisce che “ I suoi genitori, Battista e Caterina Bonetto, tutt’altro che agiati, l’educarono come meglio potettero; ma egli non volendo guardare il gregge, né piacendogli il mestiere dell’agricoltore, incominciò a menare una vita randagia, spesso seguendo i soldati. Poi emigrò in Francia, in cerca di lavoro, e, dopo una serie di avventure tornò in patria per arruolarsi nell’Arma de’ carabinieri reali, il 12 dicembre 1860 fu destinato alla legione di Chieti…”. Il Bergia dopo aver dato prova del suo non comune coraggio in numerose e ardite azioni contro la temibile banda del Taburini, nell’arresto del temibile Antonio Giorgiantonio, e dopo numerose altre brillanti operazioni,venne promosso brigadiere e fu messo a capo di una colonna mobile,con la quale si diede ad una caccia spietata de' i briganti. Forse proprio dal brigante Tamburini, il Bergia apprese l'arte del travestimento: il nostro carabiniere si mascherava fulmineamente da frate,da contadino,da donnicciola,da mendicante e persino da brigante. Poi al momento opportuno s'avventava sul malfattore per ingaggiare con lui una lotta corpo a corpo e riusciva sempre a mettergli le manette. Il Piovesan (La Città di San Salvo,cit.pag 290) racconta che “Un giorno (il Bergia ndr) travestito da mendicante, penetrò nel covo del brigante Giuseppe Delle Donne, nascosto nelle grotte di Lentella. Simulando una grande fame, piagnucolando, chiese all’amante del fuorilegge una zuppiera della polenta appena scodellata. Con atto fulmineo e con tutta la violenza la scaraventò in faccia al bandito. Dopo una lotta furibonda, riuscì a disarmarlo e a mettergli i ferri. Il suo gesto è ricordato anche in un verbale del Consiglio Comunale (di San Salvo ndr) del 18 marzo1872 con una delibera di encomio”. Finalmente venne l’ora della resa dei conti anche per il Pomponio: il brigadiere Bergia, allora, di recente, destinato al comando della stazione di San Buono, dopo aver avuto l’autorizzazione dal Colonnello Comandante la legione di Bari, fece spargere la voce di essere stato trasferito altrove; invece si scelse 5 carabinieri fra i più coraggiosi (Martino Carral,Camillo Ambrosini,Enrico Corti,Angelo Lirio,Pavan) e si recò in quel di Chieti. Il Bergia aveva, altresì, preso accordi con Scipione Ciancaglini e Donatello D’Orazio di Furci, Pasquale Della Fazia di Dogliola, Antonio Russo e Pompeo Carmenini di San Buono, i quali avevano promesso di tenerlo informato, per mezzo dei loro servi, delle mosse dei briganti. I carabinieri nella notte ripartirono alla volta di Dogliola e si appostarono nei pressi del paese, sulla riva sinistra del fiume Trigno, attendendo notizie dal Della Fazia. Dopo diverse ore di appostamento nell’oscurità della notte, si sentì un fischio, i carabinieri risposero, il fischio si ripetette e poco dopo si videro avvicinarsi due persone. Il Bergia accortosi che non si trattava del Della Fazia, gridò :”Chi va là”, gli fu risposto con una scarica che fortunatamente andò a vuoto. I carabinieri risposero con altri colpi, e subito si accese una lotta corpo a corpo fra il Bergia e un brigante che poi si accertò essere il temibile D’Alena. Il brigante nonostante le ferite in più parti del corpo, si difendeva strenuamente, “…quando il carabiniere Corti, preso il fucile dalla parte della canna, assestò col calcio un tale colpo sulla testa del malandrino, che lo stese al suolo cadavere” . L’altro brigante, Berardino Di Nardo, si diede alla fuga e riuscì a dileguarsi nella macchia. In quel mentre Giuseppe Pomponio,che si trovava nelle vicinanze, sentendo dei colpi d’arma da fuoco pensò di allontanarsi verso Fresagrandinaria, trascinando con sé Gaetano Franceschelli che aveva precedentemente sequestrato al fine di estorcergli la somma di lire 14.000. Il Pomponio giunto nelle vicinanze di Fresa si cercò un nascondiglio per riposare. Franceschelli ,seppur avanti con gli anni, attese che il sonno ‘ingannasse Pomponio e nel mentre questi russava, gli tolse il fucile a due canne e sparò due colpi ferendo il brigante alla spalla e di striscio in pieno volto; poi si diede alla fuga per i campi. Pomponio rinvenuto in sé, con la faccia grondande di sangue, si alzò per inseguire il Franceschelli, il quale per via della sua età certo non poteva correre, lo raggiunse ad un chilometro di distanza e lo finì con cinque colpi di rivoltella alla schiena. Tuttavia le ferite che il brigante aveva riportato non erano di poco conto, quindi fu costretto a chiedere asilo nella casa del manutengolo Angelo Maria Argentieri di Furci. L’Argentieri,però, constatate le condizioni precarie di Pomponio e volendo salvarsi dalla galera, riferì tutto ai carabinieri facendo catturare il Pomponio ormai inabile a muoversi. L’appostamento dei carabinieri nella casa dell’Argentieri proseguì per qualche giorno, onde procedere alla cattura di altri briganti. Infatti Michelangelo Pomponio e Berardino Di Nardo presto si recarono nella casa dell’Argentieri per soccorrere il loro compagno, ignari della presenza dei carabinieri. I militari nel vederli avvicinarsi alla casa, fecero fuoco: uno morì immediatamente, l’altro tentò la fuga ma fu trovato cadavere nei dintorni dell’abitato. Giuseppe Pomponio dalla masseria dell’Argentieri fu trasportato in Furci, e morì dopo parecchi giorni, non senza aver svelato ai carabinieri del Bergia numerosi delitti e indicando diversi luoghi dove diceva di aver nascosto del denaro. Ma i militi sprecarono non poco tempo a cercare detti tesori, poiché il Pomponio, sebbene moribondo, si divertiva a beffarli. Diversamente il Piovesan ne “ La Città di San Salvo” sia pur sinteticamente racconta una versione parzialmente diversa: “Caduto per tradimento fu impiccato sul posto, quindi decapitato, mutilato. Una parte della sua carcassa fu esposta al ludibrio sulla torre di Bassano di Vasto; un braccio fu appeso all’ingresso del castello di Monteodorisio e l’altro braccio sotto l’arcata della porta di San Salvo, prospiciente piazza San Vitale”. Cosi con la morte dei due Pomponio e dei loro compagni, fu quasi totalmente estirpata, nei nostri territori, la mala pianta del brigantaggio. Il Bergia fu decorato della medaglia d'oro al valor militare.Sperando di aver reso il giusto omaggio alla memoria dei militi che tanto hanno fatto per la nostra terra, d’altro canto ci piace terminare questo scritto con le parole del Piovesan (La Città di San Salvo): “…nessuno ha motivo di arrossire dei fatti altrui, essendo ciascuno responsabile delle proprie azioni. San Luigi Gonzaga non cessa di essere il grande Santo pur avendo avuto un pessimo fratello”.


Da: http://www.terraecuore.net/cultura-turismo-abruzzo-molise/tradizioni-abruzzo-molise/36/il-carabiniere-chiaffredo-bergia---la-repressione-del-banditismo-nella--valle-del-trigno-
































































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