Michele De Felice, disertore ed eroe.

Storia di un poliziotto: Michele De Felice, disertore ed eroe
di Filippo Marino.
     26 giugno 2021



        Michele De Felice (Vasto - CH, 08.05.1924 – Roma, 27.10.2012) si era arruolato volontario nelle Guardie di P. S. all’età di diciassette anni, pur di evitare una vita da contadino che lui, a differenza dei fratelli, rifiutava. 
Il rapporto con il padre non era dei migliori, il suo era un padre padrone, così preferì tentare una diversa condizione lavorativa, quella in polizia. 
Questo voleva dire sicuramente lontananza dagli affetti e pericolosità lavorativa, ma comunque avere una possibilità di vita migliore e fuggire da fatica e miseria. 
Essendo minorenne il padre dovette firmare a malincuore per l’arruolamento, perché, oltre alla lontananza dal figlio, ciò significava braccia in meno per il duro lavoro in campagna. 
Michele fu assegnato al Reparto Celere di Roma. 
La città ed il lavoro erano molto stimolanti per il giovane e aitante vastese. 
        
            Con l'avvento della guerra la situazione si fece sempre più difficile. 
Arrivò l'8 settembre 1943: lui insieme ai colleghi erano usciti dalla caserma di Castro Pretorio per i servizi quotidiani. 
Quel giorno si trovava in centro a Roma e si sentivano intensamente i bombardamenti alleati a Piramide. 
Gli ufficiali non ricevevano più indicazioni dal comando generale. Tutti scappavano, nessuno impartiva ordini. Era uno sbando totale. 
Non era possibile rientrare in caserma perché erano fuggiti tutti, né rimanere in giro e diventare un bersaglio. Bisognava mettersi al sicuro. 
Così Michele insieme a un collega e amico di Bucchianico (CH), rimasti soli in questo fuggi fuggi, videro come unica alternativa quella di tornare nelle proprie case in Abruzzo, dai familiari, dove avrebbero potuto sfamarsi e trovare un rifugio sicuro. 

            A piedi si incamminarono lungo la ferrovia in direzione Pescara, facendo molta attenzione al transito dei treni e al nemico. La fame era tanta e verso Tivoli trovarono un contadino che, notata l’uniforme, gli diede a compassione dell'uva e delle pesche per sfamarli. Loro gli chiesero pure degli abiti civili che il contadino si procurò. 
Lasciate le divise, per il pericolo di trovate tedeschi in giro, ripresero il tragitto lungo la linea ferroviaria. 
Dopo giorni di cammino arrivarono nei pressi di Pescara e di lì proseguirono lungo la ferrovia Adriatica in direzione casa. 
L'amico arrivato nei pressi di Bucchianico si separò e salutandosi si ripromisero di rivedersi al più presto, non appena avrebbero avuto notizie dal comando o dal Ministero dell' Interno. 
Michele proseguì e cibandosi lungo le campagne di uva e altra frutta arrivò finalmente a casa dove fu accolto dall'affetto dei suoi familiari che non avevano più notizie da molto tempo. 

            Anche a Vasto gli effetti della guerra si facevano sentire pesantemente, ma non come a Roma. 
Michele si presentò immediatamente al comando del locale commissariato di p.s. dove raccontò la sua vicenda e gli dissero di rimanere sempre reperibile e di aspettare disposizioni non appena la situazione si fosse calmata. 
Passarono diverse settimane e notizie non ne arrivavano, intanto lui era tornato alla vita campestre insieme alla sua famiglia. 

        Appena ristabiliti i contatti il commissariato ricevette l'ordine di comunicare al De Felice di presentarsi urgentemente alla questura di Campobasso in attesa di altre disposizioni. 
Così Michele, salutati i suoi cari, raggiunse la nuova destinazione. 
Arrivato a Campobasso trovò e riabbracciò fraternamente il collega di Bucchianico. Ricevettero ordini di controllare la zona unitamente alle pattuglie degli alleati americani, giunti lì da poco. 
Fin qui sembrava 
tornato quasi tutto alla normalità lavorativa: pattugliamenti, controlli, ecc. 

        Durante quei giorni lui, l'amico e altri colleghi si accorsero di qualcosa di molto grave. 
Gli americani stabilivano le località da controllare mandando avanti la polizia e poi loro a seguire. 
Durante i controlli nei casolari di campagna e nei paesi dell'alto Molise alcuni americani violentavano le fanciulle italiane in totale riservatezza, senza far trapelare nulla ai poliziotti. 
Scoperti questi abusi Michele e alcuni colleghi fidati decisero autonomamente di intervenire in totale segretezza, pur sapendo dell’alto rischio che correvano. 
Gli americani decidevano le zone da rastrellare il giorno prima. Così saputa la località Michele e i suoi amici poliziotti intervenivano in anticipo, avvisando la popolazione di far sparire l'indomani fanciulle e donne, dato il rischio a cui andavano incontro. 
Queste fatiche di costanti doppi turni e il loro coraggio salvarono centinaia e centinaia di donne da abusi e violenze. 

        Dopo alcuni mesi arrivò alla questura di Campobasso un telegramma dal ministero per De Felice, dove si diceva di rientrare al reparto celere di Roma. 
Intanto la guerra volgeva al termine e nella capitale la situazione migliorava rispetto allo sbando precedente. 

        Finita la guerra, con la Repubblica si decise di fare chiarezza su alcune situazioni. 
Michele De Felice e i suoi compagni finirono sotto processo e poi condannati per diserzione, per aver abbandonato il loro reparto di appartenenza l'8 settembre 1943. 
A nulla valse la descrizione di quei drammatici momenti, lo sbando totale e le reali responsabilità dei superiori che vigliaccamente abbandonarono i loro uomini al proprio destino. 
A nulla valse la scelta in buona fede, ma ovvia, di tornare a casa per sfamarsi e stare al sicuro, così come l'essersi presentato subito al commissariato di p.s. di Vasto spiegando quanto accadeva nella capitale. 
La sentenza arrivò inesorabile e sul foglio matricolare fu trascritta la condanna per diserzione. 
Per Michele fu una ferita profonda al cuore, perché lui si riteneva - senza se e senza ma - innocente. 
                
            Ma il tempo è galantuomo. 
De Felice fu contestualmente riammesso in polizia e riabilitato con la promozione a maresciallo per le sue gesta eroiche, per l’alto senso del dovere e della Patria. 
Fu trasferito alla questura di Roma, all'ufficio di gabinetto del questore, dove rimase ininterrottamente per trenta anni fino alla pensione nel 1984, sempre con spiccato spirito di servizio verso la polizia, l’Italia e il prossimo. 

        Michele De Felice morì a Roma il 27.10.2012. 

        Il peso di quella ingiusta condanna gli aveva lasciato tanto rammarico, a tal punto che questa storia la tenne sempre dentro di sé, senza rivelarla neanche alla moglie e alla famiglia, finché non la raccontò pochi anni prima di morire, 
come fosse una liberazione, al sottoscritto Filippo Marino. 

Nessun commento:

Posta un commento