lunedì 18 marzo 2019

Francesco Di Bartolo, “Filippo Palizzi”.

Francesco Di Bartolo, “Filippo Palizzi”, 
incisione, collezione privata.


Francesco Di Bartolo (Catania, 17.01.1826 – Catania, 03.02.1913)
Incisione
Collezione privata.



Francesco Di Bartolo, “Filippo Palizzi”, 
incisione, collezione privata.




Francesco Di Bartolo
Francesco Di Bartolo. Nacque a Catania il 17 genn. 1826 da Antonino, avvocato, e da Giuseppina Consoli. Compiuti i primi studi, mostrò precocemente uno spiccato interesse per il disegno e la pittura; all'età di dodici anni, infatti, con il consenso del padre, fu ammesso alla bottega di G. Gandolfo, pittore catanese di impronta neoclassica e apprezzato ritrattista, dove svolse un lungo apprendistato sia attraverso la sperimentazione delle varie tecniche artistiche, sia con l'esercizio continuo delle copie di opere del maestro e dei grandi artisti del passato.
Deciso ad affermarsi nel campo dell'incisione, il D., grazie anche all'appoggio del padre, ottenne nel 1848 dal Municipio di Catania un pensionato artistico a Napoli, presso l'istituto di belle arti diretto da T. Aloysio Iuvara, celebre incisore messinese.
I primi anni napoletani furono senza dubbio i più importanti per la sua formazione. Stimato e in qualche modo protetto dall'Aloysio Iuvara e dai suoi allievi prediletti, G. Micali e S. Cucinotta, anch'essi di origine siciliana, il D. apprese le tecniche incisorie con diligenza e, a detta dei biografi, "con grande umiltà" (Pappalardo, 1886, p. 192).
L'esordio vero e proprio si ebbe solo nel 1855, quando il D. diede alle stampe il suo primo rame inciso, un ritratto a mezzobusto di Carlo V imperatore, da un disegno di G. Garavaglia. Negli anni successivi produsse altre incisioni a bulino, tratte quasi sempre da dipinti antichi: Agar e Ismaele (da F. Maldarelli), la Maddalena (da C. Dolci), S. Giorgio (da J. Jordaens), S. Agata (da M. Stanzione). Nel 1860 la direzione dell'istituto di belle arti di Napoli venne affidata a F. Palizzi noto paesista e animalista, già insegnante di disegno. Ben presto il D. ne divenne amico ed estimatore, e in segno di ammirazione e di affetto ricopiò su rame alcuni animali dipinti dal Palizzi, usando però questa volta la tecnica dell'acquaforte, "forse per bizzarria o forse per dar prova, a se stesso e agli altri, della sua versatilità" (Nicolosi, 1969).
Nel 1862, preoccupato dell'incalzante progresso delle nuove tecniche di fotoincisione, si recò a Torino nel tentativo di ottenere una cattedra di disegno presso un istituto superiore di istruzione artistica - confidando nell'aiuto di due illustri conterranei, il messinese G. La Farina, storico e uomo politico, e il ministro dell'Istruzione M. Amari -, ma senza alcun risultato. Dopo un breve soggiorno a Milano, durante il quale conobbe L. Calamatta, uno dei più quotati incisori di quei decenni, il D. ritornò a Napoli. Da lì, nel 1863, inviò al Calamatta cinque sue opere, che egli riteneva fra le più valide, la S. Agata, a bulino, e quattro incisioni ad acquaforte da dipinti del Palizzi (Una testa di cane, Due vitellucci, Un ciucciariello con altri animali, Un vitellino che beve, con una contadinella). Il Calamatta lodò soprattutto le sue prove ad acquaforte, esortandolo a insistere in questa tecnica, dal momento che "l'incisione a bulino è morta, almeno per qualche tempo" (cfr. lettera del Calamatta al D., in Guardione, 194). Confortato da un così autorevole consiglio, il D. per una decina di anni, dal 1863 al 1872, si dedicò esclusivamente all'acquaforte.
Di questo periodo vanno ricordate le due incisioni da dipinti di D. Morelli: Gli iconoclasti, ritenuto il suo capolavoro, ed Eleonora d'Este e Torquato Tasso, eseguite nel 1865. Fra i numerosi ritratti, quelli di artisti (D. Morelli, F. Palizzi, S. Ussi, S. Altamura, G. Induno, E. Pagliano, T. Aloysio Iuvara, G. Monteverde, G. Dupré), di scrittori (N. Tommaseo, M. Rapisardi), di sovrani e di illustri personaggi (Vittorio Emanuele II, la Regina Margherita, Napoleone III, il Conte di Cavour, lo zar Alessandro III, la Regina Vittoria, Ottone di Bismarck, Giorgio di Grecia, Leopoldo del Belgio, ecc.).
In questi anni egli raggiunse forse il momento più alto del suo percorso artistico. Le sue incisioni - sia le riproduzioni di dipinti di grandi maestri, sia le opere originali (Contadinelli, Testa di gatto, ecc.), ispirate ai modi del Palizzi - acquistarono notorietà, diffondendosi anche fuori dall'Italia, particolarmente i ritratti elogiati per la nitidezza del segno e la straordinaria verosimiglianza.
Nel 1872 si trasferì a Roma, divenuta capitale dell'Italia unita - qualche anno prima era stato nominato professore onorario dell'istituto di belle arti di Napoli - per lavorare alla Regia Calcografia. Sotto l'influenza di P. Mercuri, il D. ritornò alla tecnica dell'incisione a bulino: nel 1873 diede alle stampe L'amor sacro e l'amor profano, da Tiziano, e nel '75, in collaborazione con T. Aloysio Iuvara , incise il S. Carlo Borromeo, dal dipinto di G. Mancinelli.
Raggiunta ormai una larga notorietà e in virtù della consacrazione ufficiale della nomina di "calcografo regio", vennero affidati al D. incarichi di prestigio. Nel 1875 il ministro R. Bonghi lo elesse nel Consiglio superiore dell'Istruzione pubblica; sempre per decreto del governo, fece parte, insieme con D. Morelli, della giuria dell'Esposizione universale di Parigi del 1878. Oltre ad essere socio onorario di molte accademie italiane e di quella imperiale di Pietroburgo, fu insignito delle più alte onorificenze (tutte le classi della Corona d'Italia e dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, l'Ordine della Giarrettiera, la Legion d'onore, il Toson d'oro; cfr. De Gubernatis, 1889; Nicolosi, 1969).Tra le opere tarde, meritano di essere ricordate la Madonna col putto (1882) da Murillo e la Madonna delle Arpie (1889) da Andrea del Sarto.
Nel 1892 il D. tornò definitivamente a Catania, nel suo villino di via Cifali, alla periferia della città. Dopo alcuni anni di intensa partecipazione alla vita culturale catanese - fu nominato direttore del Museo civico, presidente del Circolo artistico, consigliere comunale, presidente della scuola di arti e mestieri, componente di svariate commissioni cittadine - preferì ritirarsi a vita privata, nella quiete della campagna; messi da parte i rami, il bulino e l'acquaforte, amava frequentare i vecchi amici (M. Rapisardi e C. Reina) e dipingere piccole nature morte e animali, d'impronta realistica, che in gran parte sono oggi di proprietà degli eredi (Nicolosi, 1969).
Morì a Catania il 3 febbr. 1913.
Per le sue qualità intrinseche - la correttezza del disegno, il gioco dei contrasti luministici, la fedeltà quasi fotografica all'originale - la produzione del D., che pure va ridimensionata rispetto alle lodi eccessive tributate dai critici contemporanei, si configura tuttavia come uno degli esiti più felici dell'arte incisoria di scuola meridionale del secondo Ottocento.
Molti dei suoi rami si trovano oggi a Roma nella Calcografia nazionale. Gran parte della sua produzione grafica è conservata nel Museo civico di Castello Ursino di Catania e nella sezione stampe del Museo regionale di Messina. I pastelli e i disegni a matita dell'artista (in particolare, viene spesso menzionato un grande disegno del Giudizio universale di Michelangelo, mai tradotto in incisione, comprato dalla Real Casa) risultano invece irrimediabilmente dispersi.

Da: Enciclopedia Treccani

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