Pio Semeghini, “Ritratto di Raffaele
Mattioli”,
1940, olio su compensato, cm 34,2x27, collezione privata.
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Pio Semeghini, (Quistello, 31 gennaio 1878 – Verona, 11 marzo 1964)
“Ritratto di Raffaele Mattioli (Vasto, 20 marzo 1895 – Roma, 27 luglio 1973)”, 1940
Olio su compensato, cm 34,2x27
Collezione privata.
Raffaele Mattioli |
Raffaele Mattioli (Vasto, 20 marzo 1895 – Roma, 27 luglio 1973).
Insigne banchiere umanista, ha svolto un ruolo di primo piano nella storia economica, politica e culturale dell’Italia, ma anche del mondo intero. Personaggio di altissima levatura intellettuale, amministratore delegato prima (1933-1960), presidente poi (1960-1972) della Banca commerciale italiana, è stato alla testa – da questa posizione – di importanti iniziative ed istituzioni (Iri, Eni, Mediobanca).
Hanno goduto della sua generosa ed affabile humanitas grandi nomi della cultura (Riccardo Bacchelli, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Giacomo Manzù, Natalino Sapegno, ecc.), come pure autorevoli esponenti del mondo politico (Ugo La Malfa, Leo Valiani, Giovanni Malagodi, Giorgio Amendola, ecc.). A Mattioli si deve la fondazione dell’Istituto italiano di studi storici, di cui assumerà personalmente la presidenza dopo la morte di Benedetto Croce, suo grandissimo amico.
Fu inoltre finanziatore ed ispiratore della casa editrice Ricciardi, come pure di prestigiose riviste (ad esempio «La Cultura»). Durante il fascismo egli, tra l’altro, si adoperò insieme all’economista Piero Sraffa, per salvare i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci. Soleva citare a memoria, oltre al suo amato Shakespeare (di cui tradusse vari sonetti), anche Seneca, Dante e naturalmente Alessandro Manzoni.
Di lui si hanno poche immagini, in quanto il suo carattere schivo lo portava a rifuggire ogni occasione mondana.
Il disegno di Renato Guttuso lo coglie in una espressione che rivela la personalità di questo personaggio che è entrato, a giusto titolo, nella storia della Nazione.
Nel 1988 gli eredi del grande banchiere, continuando un’antica tradizione di munificenza verso la propria terra, hanno donato alla città di Vasto il palazzo di famiglia (palazzo Mattioli), sito nel centralissimo corso De Parma, con espliciti intendimenti che se ne facesse uso pubblico per fini esclusivamente culturali.
A sua volta Vasto ha dedicato a «don Raffaele» due convegni di studi, i cui atti sono raccolti nel volume “La figura e l’opera di Raffaele Mattioli”, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 1999.
A Lui, inoltre, l’Amministrazione Comunale ha voluto intitolare la nuova Biblioteca sistemata nella sua casa natale in corso De Parma.
Raffaele Mattioli è forse la personalità di maggior spicco, insieme a Spataro, di cui Vasto possa vantare i natali nella sua storia recente.
Sviluppa, con lo studio degli antichi maestri italiani, degli impressionisti e l'influenza dei suoi contemporanei, un personale linguaggio pittorico unico dettato da fitte velature e intense vibrazioni che, svelando la struttura pittorica dell'opera, va precorrendo l'arte informale.
Nasce a Bondanello di Quistello, in Provincia di Mantova, terzo di quattro fratelli.
Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle Arti di Modena e di Firenze (senza però averne conseguito diploma), si reca nel 1899 a Parigi. Vive di lavori saltuari, frequentando assiduamente i musei della città e la numerosa comunità di artisti italiani, tra cui Filippo de Pisis, Ardengo Soffici, Gino Severini e Amedeo Modigliani. Studia i maestri impressionisti francesi (Cezanne, Renoir, Bonnard, Gauguin, Van Gogh) e i maestri italiani del rinascimento.
Probabilmente a partire dal 1902 ritorna d'estate in Italia, frequentando Burano dal 1911, dove forma con Gino Rossi, Umberto Moggioli e Arturo Martini e altri, un sodalizio artistico che verrà impropriamente chiamato la scuola di Burano.
Nel 1911 espone per la prima volta a Modena le acqueforti, i disegni e le sculture realizzate a Parigi e, nel 1913, diviene redattore corrispondente da Parigi del "Corriere Italiano".
Nell'estate 1919 espone per la prima volta suoi dipinti a Venezia, alla XI Esposizione d'Arte di Palazzo Pesaro, con un buon successo di critica.
Forma e firma nel 1920 il Manifesto del Gruppo dei Dissidenti dall'esposizione della Biennale. L'anno successivo è invitato alla Prima Biennale d'arte Romana ed espone alla Galleria Geri-Boralevi la prima mostra personale (con settantacinque dipinti). Nel 1926 partecipa per la prima volta alla Biennale Internazionale d'Arte di Venezia.
Negli anni venti affina la sua ricerca concentrando lo studio di alcuni maestri antichi (Piero della Francesca, El Greco) andando ad affinare e perfezionare il suo linguaggio pittorico unico che concilia, all'interno di una visione intimista, la teoria impressionista-futurista con la scuola pittorica italiana, creando opere sospese nel tempo che conciliano e ricollegano la visione dinamica, di retaggio impressionista e futurista con le immote opere del rinascimento italiano, fitte di velature pittoriche.
Dal 1928 al 1930 tiene i corsi di pittura all'Istituto d'Arte di Lucca e successivamente alla Scuola d'Arte di Villa Reale a Monza, dove insegnerà fino al 1939.
Nel 1931 sposa giovanissima Gianna Zavatta e si trasferisce a Verona.
Raggiunge una piena maturità artistica che lo porta all'analisi spaziale delle opere antiche: il supporto pittorico è utilizzato come parte integrante dell'opera e la stesura si fa sempre più rarefatta, l'affinamento analitico dello studio pittorico diviene struttura e, alla fine del decennio, l'opera sfuma, sui contorni, nella semplice definizione di piani.
Nel 1949-1950, Semeghini aderisce al progetto della importante collezione Verzocchi, sul tema del lavoro, inviando, oltre ad un autoritratto, l'opera "Piccola merlettaia". La collezione Verzocchi è attualmente conservata presso la Pinacoteca Civica di Forlì.
Tra la fine della guerra e gli anni cinquanta partecipò alle maggiori manifestazioni ed esposizioni artistiche in Italia e all'estero. Nel 1947 è nominato membro della commissione di accettazione della XXIV Biennale di Venezia, insieme con Nino Barbantini, Carlo Carrà, Felice Casorati, Roberto Longhi, Marino Marini, Giorgio Morandi, Carlo Ludovico Ragghianti, Domenico Varagnolo, Lionello Venturi e Rodolfo Pallucchini.
La stesura pittorica di Semeghini diviene, dalla fine degli anni '30 sempre più rarefatta, esprimendo nelle figure, nelle nature morte e nei paesaggi, un'inarrivabile liricità figurativa che, pur non abbandonando il disegno, precorre e anticipa la pittura informale. La sua influenza è infatti riscontrabile in molte opere dei Maestri del dopoguerra, si cita in particolare: Ennio Morlotti, Emilio Vedova, Afro Basaldella, Giuseppe Santomaso, Antonio Zoran Music, Virgilio Guidi, ecc.
Dal 1940 in poi un fastidioso Herpes gli impedisce di lavorare agevolmente ed è costretto a periodi prolungati di riposo.
Nel 1956 le due mostre alla Gran Guardia a Verona, alla Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia e alla Permanente a Milano lo consacrano alla critica e al pubblico.
Un incidente, con lussazione dell'omero destro, occorsogli nella primavera del 1960, gli impedisce definitivamente di dipingere.
Muore d'infarto la sera dell'11 marzo 1964 a Verona.
Dopo circa un mese gli viene dedicata una mostra d'onore alla XXXII Biennale di Venezia e, l'anno successivo, una retrospettiva nell'ambito della IX Quadriennale di Roma.
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