mercoledì 21 novembre 2018

A 110 anni dalla nascita: Filandro Lattanzio, “Fiori, candela e melograni”, 1936-37.

Filandro Lattanzio, “Fiori, candela e melograni”, 
1936-37, olio su cartone, cm 50x60, collezione privata.


Filandro Lattanzio (Vasto, 21 novembre 1908 – Vasto, 13 gennaio 1986)
“Fiori, candela e melograni”, 1936-37
Olio su cartone, cm 50x60
Collezione privata.


Filandro Lattanzio (Vasto, 21 novembre 1908 - Vasto,13 gennaio 1986).
A soli dieci anni il padre lo manda a lavorare in una bottega di un fabbro. Problemi di salute non gli permettono di fare lavori pesanti e così ha modo di coltivare la passione per il disegno.
Nel 1925 realizza il suo primo quadro dal titolo “Scogliera di Scaramuzza” acquistato dalla marchesa Pignatelli di Napoli. 
Nel 1940 è richiamato alle armi e parte per la Francia, da prigioniero attraversa Belgio, Olanda e Germania, torna finalmente in Italia nel 1945. 
Nel 1948 si sposa e si stabilisce a Chambery, rimane in Francia, siamo alla fine degli anni '70 e lì sperimenta nuove strade pittoriche quali l’astrattismo e il cubismo.
Tornato a Vasto dipinge gli angoli e i colori della sua terra, ma anche nature morte e ritratti, poi si dedica ai temi religiosi realizzando due importanti opere “Madonna dei Sette Dolori” e “Sant’Anna”. 
Nel 1988 la signora Hélèn Castex ha donato al comune di 
Vasto venti opere del marito che abbracciano tutta la sua vita artistica, dall’Autoritratto del 1933, fino al nudo cubista.
Nel 2010 l’autrice Gabriella Izzi Benedetti nel libro "Artisti vastesi all’estero" ha rivolto la sua attenzione a tre pittori di Vasto: Juan Del Prete, Filandro Lattanzio e Franco Paolantonio.
Di Filandro Lattanzio è citato l'episodio quando giovanissimo, con un altro pittore vastese, Michele Fiore, andò a piedi sino a Monteodorisio, per far visionare i propri quadri a Francesco Paolo Michetti, ospite della famiglia Suriani. 



Filandro Lattanzio
























Filandro Lattanzio è illuminato e versatile protagonista tra i pittori del Novecento, senza aver frequentato corsi presso alcuna accademia, da autodidatta, si sviluppa in lui un tale amore per il mestiere di pittore da indurlo, ancora adolescente, a costruirsi da solo i materiali per dare forma alla sua passione. 
In sodalizio con gli amici pittori, Martella, Ronzitti e Fiore, sperimenta la sua vocazione artistica. Curioso di ogni sapere, nutre l’ambizioso sogno di diventare pittore, Maestro tra i Maestri e così avvia la sua attività sotto la vigile guida di Romualdo Pantini. 
Negli anni Trenta approda a Roma dove vive con grande penuria materiale, ma con spirito indomito che gli guadagna, grazie alla sua carica umana e all’ostentata capacità artistica, l’ammirazione di colleghi come Pericle Fazzini, Guttuso, Mafai e del critico d’arte Virgilio Guzzi. 
Dopo un primo viaggio a Parigi nel primo dopoguerra, avviene la scoperta dei maestri che lo influenzeranno e tra questi i più significativi sono senz’altro Cezanne, Matisse, e i maestri del Cubismo, che lo sdoganeranno verso linguaggi figurativi più attuali nel clima di estrema libertà e soprattutto di indipendenza che si respira a Parigi. La facilità innata con la quale dipinge e produce lo mette nella felice condizione di accumulare esperienza su esperienza, e giungendo a spaziare tematicamente dal paesaggio alla figura umana, dalla natura morta alla composizione di sapore vagamente cubista. Il passaggio in Francia costituì una specie di spartiacque decisivo, tra il vecchio e il nuovo: non più la tinta realista e sentimentale, stemperata su toni di bianco e nero, ma il colore vivo, lo stacco tagliente nella medesima tela tra figura e figura, il contrasto attenuato sulla scorta non già delle tinte vere del paesaggio, ma studiato sul filo di rapporti suggeriti dal gusto e dall’invenzione.

Raffaele Berardini 

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